MUTUO - Tribunale Roma Sez. XVII Sent., 16-05-2018

MUTUO - Tribunale Roma Sez. XVII Sent., 16-05-2018

In materia di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della normativa in materia antiusura, deve aversi riguardo al momento della stipulazione, essendo del tutto irrilevante il fenomeno della cosiddetta usura sopravvenuta. Di talché, qualora il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE ORDINARIO DI ROMA

SEZIONE XVII CIVILE

Il Giudice, in persona del dr. Tommaso MARTUCCI, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel procedimento civile di I grado iscritto al n. 45495/2014 del Ruolo Generale degli Affari Civili, posto in deliberazione all'udienza del 15/2/2018 e promosso da:

T.D. s.r.l. in liquidazione con sede in R., via G. L. n. 6, (P. I.V.A. (...)), elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 4 presso lo studio legale Pontecorvo, rappresentata e difesa agli avv.ti Stefano Caserta ed Alessandro Lambiase giusta mandato in calce alla copia del decreto ingiuntivo notificata

OPPONENTE

contro

U. S.p.A. e per essa quale mandataria D. S.p.A., (denominazione assunta da U.C.M.B. SpA, come deliberato dall'Assemblea Straordinaria in data 30 ottobre 2015, con verbale del Notaio C.M. di M. rep. (...) racc. (...)), elettivamente domiciliata in Roma, largo Messivo n. 7 presso lo studio dell'Avv. Valentino Benedetti, che la rappresenta e difende in virtù di procura generale alle liti

OPPOSTA

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato in data 26/6/2014 la s.r.l. T.D. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, conveniva in giudizio avanti all'intestato Tribunale la S.p.A. U., in persona del legale rappresentante pro tempore, proponendo opposizione al decreto ingiuntivo n. 7557/2014 emesso dal Tribunale di Roma il 31/3/2014, con cui le era stato intimato il pagamento in favore della controparte della somma di Euro 1.173.477,90, oltre agli interessi legali ed alle spese del procedimento, di cui Euro 742.667,13 quale saldo debitore al 16/10/2013 del conto corrente anticipi n. (...), Euro 98.410,36 quale saldo debitore al 16/10/2013 del conto corrente affidato n. (...) ed Euro 332.400,35 quale saldo debitore del mutuo n. (...), chiedendone la revoca, l'annullamento e la declaratoria di nullità e, in subordine, invocava la rideterminazione dell'avverso credito.

L'opponente, premesso di aver intrattenuto con la controparte i rapporti di conto corrente e di mutuo sopra indicati, deduceva la mancanza di prova dell'avverso credito, evidenziando al riguardo la inidoneità dei documenti prodotti dalla controparte ed eccepiva l'indebita applicazione, nel corso del rapporto, di tassi d'interesse ultra legali aventi carattere usurario e dell'anatocismo, concludendo, quindi, come in epigrafe.

La S.p.A. U.C.M.B., in qualità di mandataria della S.p.A. U., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi con comparsa del 21/4/2015, chiedeva il rigetto dell'opposizione, con vittoria delle spese di lite.

L'opposta, in particolare, esponeva di avere documentalmente provato, in sede monitoria, il proprio credito mediante il deposito dei contratti, della lettera di fideiussione e della certificazione ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993 relativa al contratto di conto corrente n. (...) del 2005, offrendo in produzione gli estratti conto dei rapporti di conto corrente controversi ed eccepiva l'infondatezza delle avverse contestazioni relativamente ai tassi di interesse, concludendo come in epigrafe.

Esperiti gli incombenti preliminari, autorizzata la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e concessi i termini ex art. 183, co. VI c.p.c., il giudice fissava per la precisazione delle conclusioni l'udienza del 15/2/2018, al cui esito, sulle conclusioni rassegnate, tratteneva la causa in decisione, concedendo alle parti i termini per le memorie conclusive.

Con il primo motivo la s.r.l. T.D. s.r.l. in liquidazione eccepisce la inesistenza dell'avversa pretesa creditoria, ritenendo all'uopo insufficiente la produzione dei certificati di saldaconto ex art. 50 T.U.B., rilevanti ai soli fini dell'emissione del decreto ingiuntivo.

La doglianza è infondata.

Giova premettere che, per costante giurisprudenza, l'opposizione a decreto ingiuntivo dà luogo ad un ordinario giudizio di cognizione, teso ad accertare il fondamento della pretesa fatta valere e non se l'ingiunzione sia stata legittimamente emessa in relazione alle condizioni previste dalla legge. Pertanto l'eventuale carenza dei requisiti probatori per la concessione del provvedimento monitorio può rilevare solo ai fini del regolamento delle spese processuali e la sentenza non può essere impugnata solo per accertare la sussistenza o meno delle originarie condizioni di emissione del decreto, se non sia accompagnata da una censura in tema di spese processuali (cfr. Cass. civ. n. 16767 del 23/07/2014).

Ne consegue che, ai fini dell'accertamento della pretesa creditoria dell'opposta, deve aversi riguardo all'intero materiale probatorio offerto dalla banca anche nella presente sede di opposizione, non potendo il giudicante arrestare la propria analisi alle sole prove allegate al ricorso monitorio.

Tanto premesso, in tema di prova dell'adempimento di un'obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento (cfr. ex plurimis, Cass. sez. un. 30.10.2001, n. 13.533). Nella specie, la banca ha provato l'esistenza del proprio credito, avendo versato in atti in sede monitoria, oltre alle certificazioni ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993 alla data del 16/10/2013, relative ai conti correnti nn. (...) e (...) intercorsi tra le parti ed alla dichiarazione ex art. 50 D.Lgs. n. 385 del 1993 al 28/11/2013 relativa al contratto di mutuo n. (...), anche la lettera di apertura del conto corrente di corrispondenza anticipi su fatture n. (...) sottoscritto dalla S.p.A. U.C.B. e le relative condizioni generali di contratto firmate dalla correntista, la lettera di apertura del conto corrente di corrispondenza ordinario clientela n. (...) sottoscritto dalla S.p.A. U.C.B. e le relative condizioni generali di contratto firmate dalla correntista, il contratto di mutuo del 23/11/2009 avente ad oggetto la somma di Euro 300.000,00, i contratti di apertura di credito, rispettivamente, fino ad Euro 500.000,00 e fino ad Euro 50.000,00, le fideiussioni prestate dai garanti e la lettera recesso della banca e diffida di pagamento; nella presente sede di opposizione, inoltre, l'opposta ha versato in atti gli estratti conto relativi ai contratti di conto corrente inter partes nn. (...) e (...), rispettivamente, dal 23/11/2009 al 12/6/2013 e dal 16/12/2009 al 12/6/2013.

Orbene, l'adito giudicante condivide l'orientamento consolidato in giurisprudenza, secondo cui, in tema di conto corrente bancario, l'estratto conto comunicato dalla banca al debitore principale e dal medesimo non impugnato nel termine di cui all'art. 1832 c.c., assume carattere di incontestabilità, sicché è idoneo a fungere da mezzo di prova anche nel successivo giudizio contenzioso instaurato nei confronti del fideiussore. Gli "estratti-conto di chiusura", ai fini di cui all'art. 1832, 2 comma, c.c., sono le comunicazioni al cliente sulla situazione finale del conto, inviate dalla banca non solo allo scioglimento del rapporto, ma anche alle scadenze periodiche contrattualmente previste, quando non si limitino a contenere l'indicazione del saldo, con il calcolo delle spese e degli interessi, ma portino anche un preciso riferimento alle partite di dare ed avere che hanno condotto a quel risultato: inoltre, ai fini indicati, la riproduzione di tutte le partite contabili non è necessaria quando l'estratto conto finale faccia seguito e richiami espressamente precedenti estratti parziali, inviati al cliente con l'indicazione di tutte le operazioni afferenti il relativo periodo (in quanto, in detta situazione, viene ugualmente soddisfatta l'esigenza di porre il cliente medesimo in condizione di riscontrare ogni eventuale vizio incidente sul saldo finale), essendo, in tal caso, sufficiente, affinché decorra il termine semestrale di decadenza di cui all'art. 1832 c.c., che l'estratto conto relativo alla liquidazione di chiusura dia al correntista la comunicazione del saldo definitivo riflettente il periodo considerato, comprensivo delle spese e degli interessi (cfr. Cass. civ. n. 2802 del 5 febbraio 2009).

Infatti può considerarsi provato il saldo finale di ciascun estratto conto, quando il destinatario del medesimo non abbia mosso tempestivi rilievi circa l'eventuale omissione del conto precedente, cui l'ultimo estratto faccia anche implicito riferimento per il saldo iniziale (cfr. Cass. civ. n. 817 del 19/01/2016).

La banca opposta ha, quindi, adempiuto l'onere probatorio a suo carico, avendo prodotto sia i contratti di conto corrente e di mutuo azionati in sede monitoria, con le relative condizioni generali, sia, in relazione ai contratti di conto corrente, gli estratti conto, da cui emerge il saldo posto dall'opponente a fondamento della sua pretesa.

Con il secondo complesso motivo l'opponente contesta l'applicazione, da parte della banca, di interessi usurari, dell'illegittima capitalizzazione degli interessi e della commissione di massimo scoperto.

La doglianza è infondata sotto tutti i profili prospettati.

Quanto all'eccepita usurarietà dei tassi di interesse applicati, si osserva che, ai fini della verifica del rispetto della normativa in materia antiusura, deve aversi riguardo al momento della stipulazione, essendo del tutto irrilevante il fenomeno della cosiddetta usura sopravvenuta: osserva a tale riguardo il recente arresto delle sezioni unite della Suprema Corte che, nei contratti di mutuo, allorché il tasso degli interessi concordato tra mutuante e mutuatario superi, nel corso dello svolgimento del rapporto, la soglia dell'usura, come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullità o l'inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all'entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula, né la pretesa del mutuante, di riscuotere gli interessi secondo il tasso validamente concordato, può essere qualificata, per il solo fatto del sopraggiunto superamento di detta soglia, contraria al dovere di buona fede nell'esecuzione del contratto (cfr. Cass. civ. sez. un. n. 24675 del 19/10/2017).

Ciò posto, con particolare riferimento al contratto di mutuo su cui si controverte, la questione giuridica rilevante nel caso di specie attiene all'applicabilità della disciplina in materia di usura al tasso degli interessi moratori.

Giova premettere che, in tema di contratto di mutuo, con norma di interpretazione autentica, l'art. 1, comma 1, D.L. n. 394 del 2000, conv. da L. n. 24 del 2001, ha stabilito che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento e, secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, l'art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. n. 5324 del 04/04/2003).

Rileva, tuttavia, il giudicante che il tasso di mora ha una funzione autonoma e distinta rispetto agli interessi corrispettivi, poiché mentre l'uno sanziona il ritardato pagamento, gli interessi corrispettivi costituiscono la effettiva remunerazione del denaro mutuato, pertanto, stante la diversa funzione ed il diverso momento di operatività, la verifica della usurarietà degli interessi moratori va effettuata in modo distinto ed autonomo da quella relativa agli interessi corrispettivi, con esclusione della loro sommatoria.

Si sono diffusi al riguardo due opposti orientamenti: il primo (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Milano 29.1.2015; Trib. Roma 7.5.2015; Trib. Rimini 6.2.2015; Trib. Vibo Valentia; Trib. Brescia 24.11.2014; Trib. Salerno 27.7.1998; Trib. Macerata 1.6.1999; Trib. Napoli 5.5.2000; Trib. Treviso 12.11.2015; Cass. Pen. 5689/2012) esclude l'applicabilità agli interessi di mora della normativa antiusura sulla base dei seguenti rilievi: gli artt. 1815, comma 2, c.c. e 644, comma 1, c.p. si riferiscono, rispettivamente, agli interessi "convenuti" e "in corrispettivo", dunque valorizzano la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12.9.2015); le Istruzioni della B.D. per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto), posto che la L. n. 108 del 1996 esige la rilevazione comparata di "operazioni della stessa natura"; la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori (cfr. Trib. Varese 26.4.2016 e Trib. Milano 28.4.2016); la diversa funzione degli interessi moratori - peraltro eventuali - aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, rispetto agli interessi corrispettivi, aventi natura remunerativa (cfr. Trib. Treviso 12.11.2015, secondo cui gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell'erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell'inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile); il TAEG di cui alle Direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE non contempla gli interessi moratori.

Il secondo indirizzo ermeneutico esclude il tasso di mora dall'ambito di operatività della L. n. 108 del 1996, valorizzando il D.L. n. 132 del 2014, convertito in L. n. 162 del 2014, che all'art. 17, comma 1, ha novellato l'art. 1284, ult. co., c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 in materia di transazioni commerciali e questo tasso, con riferimento a talune categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso-soglia: ne consegue, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, la liceità della pattuizione di un interesse di mora pari o anche superiore a quello di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002, quindi superiore al tasso-soglia (Trib. Cremona 9.1.2015; Trib. Vibo Valentia 22.7.2015; Trib. Treviso 12.11.2015; Trib. Monza 3.3.2016; Trib. Varese 26.4.2016; Trib. Milano 28.4.2016).

Prevale, tuttavia, in dottrina e in giurisprudenza l'orientamento secondo cui gli interessi moratori sono soggetti alle soglie d'usura (cfr. Cass. civ. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29/2002, secondo cui è "plausibile l'assunto" che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso-soglia): il principale argomento posto a sostegno di questo indirizzo è l'affermazione del "principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione" e la circostanza che "il ritardo colpevole ... non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge" (così la Corte di cassazione nelle decisioni da ultimo citate).

Quest'ultimo orientamento, consolidatosi nella recente giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di contratto di mutuo, l'art. 1 della L. n. 108 del 1996, che prevede la fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass. civ. n. 5598 del 06/03/2017; Cass. civ. 23192/2017), si fonda anche sui seguenti ulteriori argomenti:

a) la L. 28 febbraio 2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108 del 1996, testualmente disciplina gli "interessi ... promessi o convenuti, a qualunque titolo", quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al D.L. n. 394 del 2000);

b) l'art. 644 c.p. statuisce il "limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari" senza distinzioni tra tipologie di interessi;

c) i rischi dell'utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura;

d) l'irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora)

Orbene, l'adito giudicante condivide l'ultimo degli orientamenti sopra citati ed i principi su cui si fonda: nondimeno, la rilevazione dell'usurarietà degli interessi moratori postula l'analisi dei relativi tassi autonomamente rispetto agli interessi corrispettivi, con esclusione di ogni ipotesi di sommatoria tra gli stessi.

Invero, nei contratti di mutuo, ai fini della verifica del rispetto della L. n. 108 del 1996, l'interesse di mora non va sommato a quello convenzionale, poiché, qualora il debitore divenga moroso, il tasso di interesse moratorio non si aggiunge agli interessi convenzionali, ma si sostituisce agli stessi: gli interessi convenzionali si applicano sul capitale a scadere, costituendo il corrispettivo del diritto del mutuatario di godere la somma capitale in conformità al piano di rimborso graduale (artt.821 e 1815 cod. civ.), mentre gli interessi di mora si applicano solamente sul debito scaduto (art.1224 cod. civ.). L'eventuale caduta in mora del rapporto non comporterebbe comunque la somma dei due tipi di interesse, venendo gli interessi di mora ad applicarsi unicamente al capitale non ancora restituito e alla parte degli interessi convenzionali già scaduti e non pagati qualora gli stessi fossero imputati a capitale.

Non vale in contrario richiamare la nota sentenza della Corte di cassazione n. 350 del 9/1/2013, in cui non si afferma di doversi procedere al cumulo tra i tassi d'interesse corrispettivo e moratorio ai fini della verifica del rispetto della soglia antiusura, ma solamente che anche per gli interessi di mora occorre verificarne l'usurarietà, principio già in precedenza affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. civ. n. 5286 del 22/4/2000; Cass. n. 5324 del 4/4/2003).

Non rilevano, ai fini della verifica del superamento della soglia antiusura del tasso degli interessi moratori, le spese relative al contratto bancario, posto che l'interesse di mora non attiene alla remunerazione del capitale, bensì alla penalità per il ritardato adempimento del mutuatario, fatto imputabile a quest'ultimo e meramente eventuale, in una fase patologica del rapporto.

Osserva al riguardo la prevalente giurisprudenza di merito che è infondata la modalità di conteggio del "tasso effettivo di mora (T.E.MO.)", posto che la previsione contrattuale di interessi moratori concerne la mera ipotesi, patologica ed eventuale, di un ritardo nel pagamento delle rate ed è, dunque, riferita a fattispecie che si discosta dal corso fisiologico del contratto, avendo tali oneri natura risarcitoria, diversamente dagli interessi corrispettivi, connessi all'erogazione del credito. Tanto premesso, se da un lato si reputa corretto computare, unitamente agli interessi corrispettivi, i restanti costi ed oneri connessi all'erogazione del credito ai fini della determinazione del tasso corrispettivo applicato al rapporto (conteggio del TEG), dall'altro pare incoerente replicare tale modalità di calcolo con riferimento agli interessi di mora, attesa la ribadita diversa natura di questi ultimi" (cfr. Trib. Milano, n. 11854 del 22 ottobre 2015; App. Milano, 20 gennaio 2015).

Ed ancora, pur rilevando, ai fini del tasso soglia, anche il tasso d'interesse moratorio, per verificare il superamento i due tassi d'interesse non si sommano, in quanto succedono l'uno all'altro; in particolate, il moratorio succede al corrispettivo in caso di inadempimento o ritardo (cfr. Trib. Roma, ord. 3 giugno 2015).

Corrobora l'orientamento sopra espresso il punto 4) dei "Chiarimenti in materia di applicazione della legge antiusura" del 2/7/2013, che costituisce un valido parametro interpretativo della disciplina antiusura e così dispone: "I TEG medi rilevati dalla B.D. includono, oltre al tasso nominale, tutti gli oneri connessi all'erogazione del credito.

Gli interessi di mora sono esclusi dal calcolo del TEG, perché non sono dovuti dal momento dell'erogazione del credito ma solo a seguito di un eventuale inadempimento da parte del cliente.

L'esclusione evita di considerare nella media operazioni con andamento anomalo. Infatti, essendo gli interessi moratori più alti, per compensare la banca del mancato adempimento, se inclusi nel TEG medio potrebbero determinare un eccessivo innalzamento delle soglie, in danno della clientela.

Tale impostazione è coerente con la disciplina comunitaria sul credito al consumo che esclude dal calcolo del TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) le somme pagate per l'inadempimento di un qualsiasi obbligo contrattuale, inclusi gli interessi di mora.

L'esclusione degli interessi di mora dalle soglie è sottolineata nei decreti trimestrali del Ministero dell'Economia e delle Finanze i quali specificano che "i tassi effettivi globali medi (...) non sono comprensivi degli interessi di mora contrattualmente previsti per i casi di ritardato pagamento.

In ogni caso, anche gli interessi di mora sono soggetti alla normativa anti-usura. Per evitare il confronto tra tassi disomogenei (TEG applicato al singolo cliente, comprensivo della mora effettivamente pagata, e tasso soglia che esclude la mora), i decreti trimestrali riportano i risultati di un'indagine per cui "la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,1 punti percentuali". In assenza di una previsione legislativa che determini una specifica soglia in presenza di interessi moratori, la B.D. adotta, nei suoi controlli sulle procedure degli intermediari, il criterio in base al quale i TEG medi pubblicati sono aumentati di 2,1 punti per poi determinare la soglia su tale importo".

Venendo al caso di specie, con particolare riferimento al mutuo inter partes, le parti hanno pattuito le seguenti condizioni economiche:

- tasso d'interesse corrispettivo per il periodo di preammortamento (23/11/2009-30/6/2011): 3,487%;

- tasso d'interesse corrispettivo per il periodo di ammortamento: euribor 6 mesi maggiorato del 2,5% (pari al 3,51739% alla data della stipulazione del contratto);

- ISC: 3,785%;

- interessi moratori: tasso d'interesse corrispettivo aumentato del 2%.

Ebbene, i tassi d'interesse corrispettivo e moratorio e l'ISC risultavano, alla data della stipulazione del contratto, inferiori ai c.d. tassi soglia antiusura previsti per la relativa tipologia di operazione, quindi il contratto si sottrae, sotto il profilo degli interessi pattuiti, alle censure di illiceità per usura svolte dalla parte opponente.

Relativamente ai contratti di conto corrente de quibus, a fronte della genericità delle contestazioni dell'opponente sulla usurarietà dei tassi d'interesse, dall'analisi dei documenti versati in atti non emerge la prova del superamento del c.d. tasso soglia antiusura, pertanto anche in relazione a tali contratti l'opposizione è infondata.

Parimenti infondate sono le doglianze concernenti l'anatocismo, risultando dagli atti che, in relazione ai contratti di conto corrente, dall'art. 2, n. 2 delle condizioni generali di entrambi i contratti era prevista la identica reciprocità trimestrale della regolamentazione dei rapporti di dare/avere.

Trattasi, quindi, di clausole conformi al disposto della Del.CICR del 9 febbraio 2000, che prevede la validità ed efficacia delle pattuizioni che, in materia di interessi, prevedono l'identica periodicità della loro capitalizzazione con riferimento agli interessi attivi e passivi.

Ne conseguente l'infondatezza dell'opposizione.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

visto l'art. 281-quinquies c.p.c.;

il Tribunale di Roma, definitivamente pronunziando sull'opposizione proposta con atto di citazione notificato in data 26/6/2014 dalla s.r.l. T.D. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la S.p.A. U., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi tramite la mandataria U.C.M.B. S.p.A., che ha successivamente assunto la ragione sociale di D. S.p.A., contrariis reiectis:

RIGETTA l'opposizione al decreto ingiuntivo n. 7557/2014 emesso dal Tribunale di Roma il 31/3/2014 proposta dalla s.r.l. T.D. in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la S.p.A. U., in persona del legale rappresentante pro tempore, costituitasi tramite la mandataria U.C.M.B. S.p.A., che ha successivamente assunto la ragione sociale di D. S.p.A.;

condanna la s.r.l. T.D. in liquidazione al pagamento in favore della controparte delle spese processuali, che liquida in Euro 15.000,00 per compenso professionale, oltre al 15% per spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2018.

Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2018.


Avv. Francesco Botta

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